sabato 31 ottobre 2009

Bianzino

LA PROPOSTA DEL PDL per il telemarketing

DOPO SEI MESI CHI NON VORRÀ PIÙ RICEVERLE
DOVRÀ ISCRIVERSI IN UN APPOSITO REGISTRO
Telemarketing, riparte
l'assedio domestico
di ALESSANDRO LONGO

Prepariamoci a sei mesi in cui vedremo il telefono come un nemico. Telefonate pubblicitarie arriveranno a ogni ora, a casa, sul cellulare; inattese, non richieste, per offrire prodotti, servizi di ogni genere. E poi, a maggio, per ottenere un po' di pace, bisognerà iscrivere il proprio numero in un nuovo registro.

Raccoglierà, per la prima volta in Italia, la lista degli utenti che hanno espresso la volontà di non essere contattati a scopi pubblicitari. Le attuali leggi sulla privacy, al contrario, permetterebbero alle aziende di chiamare solo gli utenti che hanno dato loro il consenso.

È questa la rivoluzione telemarketing (cioè delle telefonate pubblicitarie) che il governo sta preparando. È contenuta in un emendamento depositato due giorni fa da Lucio Malan (Pdl) al Senato, tra le proteste di associazioni consumatori (Altroconsumo, Aduc) e dell'Autorità Garante della Privacy. In particolare, è un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto legge per recepire vari obblighi comunitari. Martedì è previsto il via libera definitivo al disegno di legge. "È ormai certo che l'emendamento passi, avendo già ricevuto parere favorevole dalla Commissione affari costituzionali del Senato. L'alternativa è che l'intero disegno di legge venga bocciato. Ma è piuttosto improbabile, visto che riflette le posizioni della maggioranza", spiega Guido Scorza, avvocato esperto di questi temi, che ha seguito da vicino la vicenda. "Conto sul parere favorevole del Senato", dice lo stesso Malan.

"Beninteso, questo non è un incentivo alle molestie telefoniche", aggiunge; "al contrario: vogliamo dare agli utenti un modo per non essere più contattati se non lo desiderano: tramite il registro, a cui potranno iscriversi da maggio, gratis, con una telefonata o una mail". "L'attuale regime, chiamate solo a chi ha dato il consenso, all'apparenza garantisce di più gli utenti, ma in realtà funziona male - continua Malan -. Gli utenti infatti danno il consenso senza accorgersene, per esempio quando comprano un cellulare: le aziende fanno firmare clausole, nei contratti, che autorizzano a ricevere telefonate pubblicitarie anche di terze parti. Il registro sarà invece la prova inconfutabile che l'utente non voleva essere chiamato. Ci sono registri simili anche in Francia e Regno Unito". Con quella prova, l'utente potrà denunciare l'azienda che l'ha chiamato, al Garante della Privacy o a un tribunale ordinario. "Sì, ma le multe previste per le aziende che sgarrano arrivano a 36 mila euro: ben poco. Non scoraggiano gli illeciti", dice Scorza.

Il punto critico però non sono solo le multe ridotte. L'emendamento Malan prolunga infatti quella situazione di Far West telefonico che il governo ha istituito dal 2008, con il decreto mille proroghe. Questo decreto ha autorizzato, fino al 31 dicembre 2009, chiamate pubblicitarie anche senza il consenso dell'utente, in deroga alle norme sulla privacy. Il nuovo emendamento dà un'ulteriore proroga fino a maggio.

Prima della nascita del registro, l'unica difesa dell'utente sarà quindi chiedere, durante la telefonata pubblicitaria, di non chiamare più. A quel punto quell'azienda è obbligata dalle norme a registrare questo divieto e non è più autorizzata a telefonare. Come ben sanno i consumatori, però, le aziende non si fanno scoraggiare così facilmente e tendono a ignorare il divieto. "A causa della nuova legge proseguirà l'assedio ai consumatori, per cui è doppio il danno delle telefonate pubblicitarie", dice Domenico Murrone, segretario di Aduc. "Non è solo un fastidio, ma c'è anche il rischio di vedersi attivati servizi non richiesti durante la telefonata. Capita con gli operatori telefonici", continua.

Felice Belisario (Idv) aveva presentato un emendamento, contro quello di Malan, per impedire la proroga del Far West (chiedeva di autorizzare le chiamate solo dopo la nascita del registro). Non ha avuto esito. I consumatori hanno rischiato però anche di peggio: in un primo emendamento, poi ritirato, Malan indicava una proroga di 20 mesi, contro la quale però è arrivato il parere negativo dell'Unione Europea.

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(31 ottobre 2009)


In soldoni se prima venivano scocciati solo i consumatori che in qualche modo (a volte senza neanche saperlo o rendersi conto) avevano dato il consenso ad essere contattati, ora saranno bersagliati tutti, con o senza consenso, e se non vorrai essere scocciato, dovrai prenderti TU la scocciatura di andarti a segnare su un apposito registro dei NON SCOCCIABILI... Peccato che questo registro sarà istituito DOPO sei mesi dall'inizio delle telefonate a raffica! Protesta dei consumatori, e te lo credo! Ma qui va di male in peggio. Questa sarebbe una manovra per uscire dalla crisi? Puoi iscriverti al registro inviando una mail o effettuando una telefonata. Immagino già i poveri pensionati bersagliati...

PS: quando mai è bastato dire, durante una telefonata, di non essere chiamati più per non essere più chiamati? Ma dove vivono? Ma sono stati mai bersagliati loro fino alle 11 di sera? Se la legge mio cognato Carlo sta deroga, si salvi chi può... Menomale che non ha internet in questi giorni...

venerdì 30 ottobre 2009

BESTIE

LA SCHEDA
Detenuti, nel rapporto Antigone i casi di violenze, torture e suicidi in cella
Il caso Cucchi riporta alla ribalta il tema dei diritti dei carcerati


MILANO - La morte di Stefani Cucchi, il 31enne deceduto a Roma sei giorni dopo l'arresto e in circostanze ancora da chiarire, riporta alla ribalta il tema dei diritti dei detenuti. Questione che vede impegnata da anni il gruppo Antigone: il sesto rapporto redatto dall'associazione, «Oltre il tollerabile», conta una serie di violenze, torture e suicidi segnalati negli istituti penitenziari italiani e di procedimenti nei confronti di personale operante nelle strutture penitenziarie. Di seguito alcuni casi indicati nel dossier:

GENOVA - Il 20 luglio del 2008, un detenuto del carcere genovese telefona alla nonna denunciando di essere stato violentemente picchiato. Quattro giorni dopo, la madre riceve una lettera con su scritto: «(...) mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana». Il 25 luglio del 2008, il ragazzo, un ventiduenne, viene trovato morto nella sua cella. La madre dichiarare che il figlio era «completamente coperto di lividi su tutto il corpo, con delle chiare tracce di sangue che dal naso salivano verso la fronte e i capelli».

TORINO VALLETTE - Il 2 febbraio del 2009, un ex medico delle Vallette denuncia abusi e connivenze in danno ai detenuti, dichiarando come «all'interno delle strutture carcerarie i pestaggi da parte degli agenti, addirittura organizzati in apposite squadrette, siano all'ordine del giorno». Ad oggi, si attendono ulteriori ed eventuali sviluppi.

VELLETRI - L'11 settembre del 2008 muore in ospedale un detenuto quarantunenne. È in corso l'inchiesta per verificare se la morte sia stata causata dalle violenze subite dopo l'arresto. La vittima, oltre a riportare diverse fratture, presentava «un grave stato di sofferenza epatica», motivo per cui era stato ricoverato in ospedale. Proprio poco prima di morire, l'uomo avrebbe «esplicitamente incolpato gli agenti di averlo ridotto in quelle condizioni».

FORLÌ - Termina nel febbraio del 2009 il processo contro un agente di polizia penitenziaria accusato di violenze sessuali nei confronti di alcune detenute. L'uomo è stato condannato a tre anni di reclusione. I fatti risalgono al 2005. L'agente, secondo l'accusa, nel perquisire una detenuta le palpeggiò il seno, riservando lo stesso trattamento a diverse altre donne.

LECCE - Continua il processo contro nove agenti del carcere minorile di Lecce imputati di violenze, maltrattamenti e soprusi. Dal 16 luglio 2007 la struttura è ufficialmente chiusa per mancato adeguamento alla legge 626 sulla sicurezza delle strutture. I ragazzi sono stati trasferiti nel carcere minorile di Bari.


30 ottobre 2009


LA MAMMA DI FEDERICO - 2005

http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/2006/01/02/federico/

RABBIA e IMPOTENZA (mie)

DOPO ALDROVANDI, IL CASO CUCCHI
Questa volta chiarezza subito

Stefano Cucchi aveva 31 anni. Federico Aldrovandi 18. Il primo è morto a Roma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre. Il secondo a Ferrara, il 25 settembre 2005. Forse sono solo due personaggi di storie lontane. Ma per ora le loro vicende sembrano avere più di un punto in comune. Le due famiglie, innanzitutto. Gli Aldrovandi si sono battuti a lungo per scoprire il motivo della morte del figlio: Federico non sopravvisse ad un controllo di polizia. Ora i Cucchi ripercorrono la stessa strada, fatta di proteste, contatti con i politici che si occupano di detenuti, interviste televisive. Anche Stefano, come Federico, era affidato, come insiste a dire la famiglia, «allo Stato». Era stato arrestato dai carabinieri per spaccio di droga. Aveva passato la notte in caserma. Qualcosa è accaduto quella notte. I carabinieri sostengono che hanno udito il detenuto lamentarsi. E per questo hanno chiamato un’ambulanza. Arrivato il medico, Cucchi ha rifiutato le cure, preferendo la cella all’ospedale. Il giorno dopo è stato portato dal giudice. Poi in carcere. E da lì al pronto soccorso dell’ospedale Pertini per un mal di schiena. È morto giove dì scorso nel reparto dei detenuti.

La famiglia, che non ha avuto il per messo di visitarlo durante la convalescenza, prima ha descritto i segni di un pestaggio sul corpo di Stefano. E poi, proprio come era stato fatto nel caso de gli Aldrovandi, ha diffuso le foto del ca davere dopo l’autopsia. Una decisione presa con l’avvocato Fabio Anselmo. Lo stesso del processo di Ferrara.

Per scoprire la verità su Aldrovrandi ci sono voluti 4 anni e 32 udienze. Fino alla condanna di quattro poliziotti per omicidio colposo: l’avevano percosso e gli avevano tolto il respiro, ammanettandolo a pancia in giù. Tempi così lunghi hanno fatto male a tutti, alla famiglia e alla polizia. Ora, per spazzar via ogni dubbio, è necessario fare subito chiarez za sulla morte di Cucchi. Ha fatto bene il ministro della Giustizia Alfano, a chiedere «un approfondimento immediato». Ora deve ottenerlo.

Luciano Ferraro
30 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA

dal Corriere.it

Solo tolto il respiro?
C'è una foto di Federico riverso a terra con un lago di sangue sotto la testa!

ANCORA IN SERVIZIO???

Caso Cucchi, la madre di Aldrovandi: chiarezza subito

ROMA (30 ottobre) - «La cosa positiva è che questa esigenza di chiarezza sia sentita da subito, diversamente da quello che è successo a noi. Forse la lotta che abbiamo fatto ha aperto una strada». Lo ha detto, ai microfoni di Cnr Media, Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto a Ferrara nel 2005 per le percosse di quattro agenti, condannati in primo grado lo scorso luglio.

«Me lo ha detto proprio la famiglia di Stefano: quando hanno visto le ferite sul corpo del loro fratello e figlio, hanno pensato a quelle che avevano visto sul corpo di Federico - aggiunge Patrizia Moretti - Spero che si arrivi a un chiarimento il più presto possibile, e che non debbano aspettare quattro anni come è successo a noi».

La madre di Federico Aldrovandi ha poi ricordato che gli agenti condannati per la morte del figlio sono ancora in servizio. «Questo è assurdo - ha affermato - io pensavo che al momento della condanna li avrebbero fermati, sospesi, forse incarcerati, chissà. E invece non è successo niente. Io ho chiesto spiegazioni al questore di Ferrara e lui mi ha detto che il loro regolamento prevede che non ci sia nessun provvedimento fino al terzo grado di giudizio. Come cittadina lo sento profondamente ingiusto, sbagliato, come mamma lo ritengo un'offesa».


MA COME GLI VIENE IN MENTE...

... di fare un film del genere?


Non parlo da bacchettona, non lo sono mai stata, ma è davvero una testa vuota, vuota!

giovedì 29 ottobre 2009

Un incubo già vissuto

Cucchi come Aldrovandi.
In Italia la polizia uccide.

STAMPA ESTERA

''L'Italia? Non la sputtaniamo noi''

(29 ottobre 2009)

I corrispondenti della stampa estera a Roma rispondono alle accuse di Silvio Berlusconi

di Giovanni Valentini





UNIVERSITA' PUBBLICA ADDIO

UNIVERSITÀ PUBBLICA ADDIO
NON C’È UN EURO
Largo ai privati, puniti ricercatori e studenti

Tremonti taglia in cinque anni più di mille milioni di euro e riduce gli atenei sul lastrico. Poi chiama in aiuto i privati ai quali ne affida di fatto la gestione.
E i precari sono sempre più a rischio

di Francesco Bonazzi

Meno autonomia uguale più merito. E più privato uguale più qualità. Sono queste le equazioni che stanno dietro il provvedimento sull’università approvato ieri da Palazzo Chigi. Era dai tempi del sedicente “pacchetto sicurezza” che il volto ideologico della destra che ci governa non lasciava un’impronta tanto nitida. E lo si deve alla furia riformatrice di una figlia della Bergamasca come Mariastella Gelmini, il ministro dell’Istruzione che per diventare avvocato scese a sostenere l’esame in Calabria, in un’ottica di “istruzione patria” di chiara marca deamicisiana (dalle Alpi all’Appennino e ritorno).

La realtà della riforma va oltre gli slogan ed è di volgare concretezza: come per la scuola, non c’è un soldo bucato neppure per gli atenei. Giulio Tremonti non sgancia e la Gelmini, che proprio ieri ha confessato al suo ideologo di riferimento Maurizio Costanzo di voler scrivere un libro di “favole regionali” manco fosse Italo Calvino, copre così la sua triste realtà di piccola fiammiferaia di Viale Trastevere. Ci sono meno denari per gli studenti più bravi, ma si racconta che i criteri di attribuzione saranno più severi e meritocratici. Ci sono meno soldi per gli atenei pubblici e si restringe ulteriormente il diritto allo studio sancito dalla Costituzione, ampliando il ricorso agli odiosi test d’ingresso. Si vuole limitare l’offerta formativa delle università statali, limitandone l’autonomia, e si copre il tutto con l’ingresso del famoso “mercato”.

Se almeno avessero il coraggio della provocazione culturale, si potrebbe discutere con una certa allegria. Potremmo chiudere gli occhi sugl’interessi dei privati “sussidiati” ai quali abbiamo assistito nella sanità e nei servizi pubblici essenziali. Potremmo berci la storiella che il contributo scientifico e culturale di Sciùr Brambilla e Cumènda vari sia la vera modernità. Potremmo perfino ripescare meravigliose provocazioni libertarie come quelle di Enzensberger per un “ritorno al precettore”. Poi però uno vede l’ombra di Giulietto Mani di Forbice e capisce che la prima favola della Gelmini ha per titolo “L’ateneo dimezzato”. E allora la può raccontare giusto al Costanzo Show.

(La storia continua su "Il Fatto Quotidiano", se volete leggerla, tocca che vi abbonate)

lunedì 26 ottobre 2009

QUANTO CO2 PRODUCIAMO?

Ho fatto il test, pensavo d'esser bravina. Sono rimasta alquanto shockata dal risultato. Proprio non ci siamo. Anche se non c'è una domanda su che tipo di alimentazione ha la mia macchina. Penso che con il mio Pandino Rosso GPL inquino un po' di meno!

http://racconta.repubblica.it/wwf-calcolatore-co2/main.php


sabato 24 ottobre 2009

MARRAZZO

Se sei un uomo con una carica pubblica e risulti ricattabile, devi dimetterti. Punto.

venerdì 23 ottobre 2009

OGNI TANTO QUALCOSA DI BUONO LA DICIAMO

L'APPELLO DEL CAPO DELLO STATO

Immigrazione, il monito di Napolitano: siamo stati emigranti, ricordiamocene

«Oggi che accogliamo immigrati non dovremmo mai dimenticare che siamo stati un Paese di emigrazione»

MILANO - «Oggi che accogliamo immigrati nel nostro Paese e siamo diventati un Paese di immigrazione non dovremmo mai dimenticare che siamo stati un Paese di emigrazione». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine dell’inaugurazione, al Vittoriano, accompagnato dal presidente della Camera Gianfranco Fini, del nuovo Museo dell’emigrazione italiana. Il capo dello Stato ha ricordato gli italiani emigrarono con un «flusso straordinario» verso altri paesi e che andarono lì «in condizioni durissime che non dovremmo mai dimenticare». Quello dell’emigrazione, ha specificato l'inquilino del Colle, «è stato un capitolo essenziale della storia dell’Italia e nel momento in cui ci apprestiamo a celebrare il 150esimo anno dell’Unità non possiamo dimenticare il fatto che nell’Italia, seppure unita, tanti italiani non poterono trovare lavoro e modo di vivere e furono costretti a partire».

23 ottobre 2009

mercoledì 21 ottobre 2009

STAZIONE DI OSTIA ANTICA

Visto che ci siamo, vi racconto anche quella di Ostia Antica di scenetta. Un bel giorno me ne vado alla stazione di Ostia Antica, dove si prende il treno della Roma-Lido, e dove proprio ieri un bigliettaio è stato protagonista di un articolo del Corriere.it. Mi presento alla cassa con 50 euro e chiedo due biglietti per un totale di 2 euro. "Eh no" mi fa "non c'ho er resto, ne devi comprà cinquanta de bijetti, senno' niente". Credendo in una burla di un romano un po' provolone, sorrido. Poi capisco che dice sul serio. "Ma a me non servono tutti questi bigietti, non sono pendolare, prendo il treno solo oggi" e lui: "E io che ce posso fa'?". Poi aggiunge: "Guarda, ar massimo te posso da du bijetti da 20 euro, però 10 bijetti li devi comprà". Mi impunto, non userò mai gli altri biglietti. Ne voglio solo due (tutto sto casino perché le macchinette distributrici automatiche erano tutte e due spente senza manco il biglietto scritto sopra che non funzionavano, se mai avessero dato il resto pure quelle). Dietro a me comincia a formarsi la fila di gente che naturalmente ha premura di perdere il treno, visto che ne passa uno ogni morte de papa se non sono orari di punta. Allora il bigliettaio me fa: "Va be, damme sti 50 euro" glieli porgo. "Spetta un po' fa un po' vede?" comincio a sentirmi a disagio. "Me spiace, so farzi questi, vedi sotto la luce viola? Nun li posso prende". Viola sono diventata io, altro che la luce. Dalla vergogna più che dalla rabbia (ero ancora ingenua sui fatti de sta pora italietta). Li ho ripresi e me ne sono andata a casa a recuperare gli spicci dal salvadanaio-mucca che sta in cucina. Naturalmente i 50 euro erano buoni, buonissimi, il giorno stesso li ho spesi non ricordo come.

Quindi:

1 - Il resto ce l'aveva ma nun lo voleva spreca' tutto in una botta, soprattutto per me che non ero ne' amica ne' conoscente (perchè così si va avanti in Italia, ci è successo pure in Alitalia, un ragazzo ha riconosciuto Alfredo e gli ha chiesto se aveva bisogno di qualche favore o di posti speciali; abbiamo gentilmente declinato e richiesto solo quel che ci spettava. A questo argomento andrebbe dedicato un post completo).

2 - Il cinquantone era verissimo e quando me l'ha chiesto aveva già deciso di inscenare la scusa del biglietto falso, che me sa manco era la prima volta che metteva su... Mortacci dei furbi!


Ad maiora.

Vanessa



POSTE ITALIANE

Oggi vado in posta per spedire una busta negli Stati Uniti. Aperte 5 casse su 7. La macchinetta che distribuisce i numeri per le varie attività è rotta. Un cartello (ormai vecchio, quindi deduco che la macchinetta è rotta da tanto e ancora per tanto lo rimarrà) dice di disporsi tutti su unica fila. Per sicurezza chiedo alla cassiera numero 5 se anche per spedire una busta devo fare la stessa fila (eravamo quattro gatti in tutto l'ufficio, regnava la calma e il silenzio). Mi dice: "Signorina, tutte le casse fanno tutto!". Rincuorata mi dispongo in fila (ero la prossima a dover essere servita), si libera la cassa numero 4, vado e porgo la busta e mi sento dire: "Eh no signorina, qui solo pagamenti! Lei deve fare un pagamento?" (ovviamente no). Io: "Ma proprio ora la sua collega ha detto che tutte le casse fanno tutto". Lei: "No, solo le prime tre casse. Avanti il prossimo!". Mi rimetto in fila, si libera la cassa numero 1, mi sporgo e, solo per sicurezza ma tanto sapevo che doveva spedirmela sta ca§§o di busta, faccio timida: "Posso?". E lei senza manco alzare lo sguardo dal foglio che faceva finta di leggere fa: "Eh no, ora proprio no, ho altro da fare". Con santa pazienza, e con il mezzo sospetto si trattasse di una candid camera, mi rimetto in fila per la terza volta, mentre la gente appena arrivata con 1.000 bollettini entra, mi passa avanti ed esce... Si libera la cassa numero 2, mi precipito e le metto la busta sotto al naso. Lei la guarda scocciata: "E dove deve arrivare questa busta?", io: "Negli Stati Uniti". Occhi al cielo come per dire: "Ah namo bene, me tocca lavorà di più". Inviare una lettera con posta celere in America richiede un sacco di scartoffie, comprese tre fotocopie del mio codice fiscale, tre copie della ricevuta di ritorno, un sacco di firme, recapiti telefonici e mail del destinatario, mancavano solo le impronte digitali! BHO! Comunque alla fine mi fa: "Sono 39 euro e 5 centesimi". Le porgo il bancomat, e lei: "No, no, no, no, no..." facendo anche il verso che ora non so trascrivere, come una mammina premurosa. "Contanti" annuncia. E io: "Come mai? Stanno pagando tutti con bancomat". E lei: "Contanti" (come se la prima volta non avessi capito bene). Ho tirato fuori i ca§§o di contanti, 5 centesimi compresi, e me ne sono andata contentissima di vivere in questo paese di personcine educatissime che lo popolano! Se non ci fossero stati fuori dalla posta i miei colleghi a da aspettarmi, le avrei detto: "Contanti non ne ho, poteva dirmelo prima di iniziare la trafila che il bancomat, nonostante siamo ormai nel ventunesimo secolo, per queste operazioni non si accetta!". Si accettano invece scommesse sulle possibili reazioni della cassiera!

Ad maiora.

Vanessa

NON DICO VEGETARIANI, MA MENO CARNE E' MEGLIO PER TUTTI!

21/10/2009

La bistecca che distrugge il pianeta

Scritto da: Alessandra Farkas alle 04:23

NEW YORK – L’impatto ambientale del consumo di carne è molto più devastante di quanto non si sia pensato fino ad ora. Lo affermano gli scienziati americani Robert Goodland e Jeff Anhang, co-autori di Livestock and Climate Change, uno studio pubblicato sull’ultimo numero dell’autorevole World Watch magazine dove affermano che oltre metà dei gas serra (o GHG) prodotti oggi dall’uomo sono emessi dagli allevamenti industriali di bestiame.

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Già nel suo dossier del 2006 Livestock's long shadow (La lunga ombra del bestiame) la Fao aveva attestato come il settore della produzione di carne sia causa del 18% delle emissioni totali di gas serra dovute alle attività umane: una percentuale simile a quella dell'industria e molto maggiore di quella dell'intero settore di trasporti (che ammonta a un 13,5%).

Ma secondo le più recenti rilevazioni effettuate da Goodland e Anhang il bestiame e i suoi sottoprodotti immettono nell’atmosfera oltre 32.6 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio all’anno, ovvero il 51 % delle emissioni di GHG prodotte annualmente nell’intero pianeta.

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La carne presente nella nostra dieta è responsabile, insomma, dell'immissione in atmosfera di una quantità di gas serra - anidride carbonica (CO2), metano, ossido di azoto e simili – ben maggiore di quella immessa dai mezzi di trasporto o dalle industrie. Il motivo? Per la produzione di 225 grammi di patate si emette una quantità di CO2 pari a quella generata dal guidare un'auto per 300 metri. Per la stessa quantità di asparagi, è come guidare la stessa auto per 440 metri. Per la carne di pollo, molto di più: 1,17 km, per il maiale 4,1 km, per il manzo 15,8 chilometri.

La conclusione dei due ricercatori è drastica quanto inevitabile: “Per invertire il devastante trend che sta inesorabilmente modificando il clima del pianeta Terra basterebbe sostituire i prodotti animali con quelli a base di soia o di altre colture vegetali. “Questo approccio avrebbe effetti molto più rapidi sulle emissioni di GHG e sull’effetto serra di qualsiasi altra iniziativa per rimpiazzare i combustibili fossili con energia rinnovabile”, affermano i due esperti.

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Non si tratta, insomma, dell’ennesima moda alimentare o imperativo etico-religioso ma di una condicio sine qua non per assicurarsi che il nostro meraviglioso pianeta esista ancora per i figli dei nostri figli. Prima che sia troppo tardi.

PERCHE' ALTRI FUGGONO?

LAUREATA NEL '94, MARIA GRAZIA DI CERTO LAVORA AL CNR

«Io, ancora precaria e single a 41 anni con dieci contratti da ricercatrice»

La delusione dello stop alla stabilizzazione nel 2007. «Non guardo al futuro»

Maria Grazia Di Certo
Maria Grazia Di Certo
ROMA — La pazienza la avverti già nel tono della voce, disteso e per sino rassicurante, con cui Maria Gra zia Di Certo, romana, 41 anni, ricer­catrice in biotecnologie al Cnr, pre caria da 15 anni, racconta la propria storia vissuta «sul filo». Quando si è abituati a camminare in bilico lassù, probabilmente non si solleva nem meno più lo sguardo per scorgere l'approdo sicuro. Ci si concentra sul centimetro trattenendo il fiato, così come Maria Grazia fa ogni giorno, guardando con il microscopio il suo vetrino in una battaglia più grande di lei, quella contro le malattie gene­tiche.

In fondo il sogno era questo qui, quando Maria Grazia ha iniziato fre quentando, a Roma, Scienze biologi che. La laurea è arrivata nel 1994, nello stesso anno in cui a vincere il Nobel per la Medicina è Martin Rod bell, biochimico, scopritore delle proteine G. «Mi sono specializzata in patologia clinica — racconta Ma ria Grazia — e poi ho preso il dotto rato di ricerca a L’Aquila in biotecno logie ».

Comincia così un percorso insta bile tra borse di studio e primi con tratti: «Per carità, tutti noi sappia mo che la gavetta è lunga — spiega la ricercatrice —. Io arrotondavo fa cendo il rappresentante farmaceuti co ». Da lì alla dura realtà dei co.co.co, i collaboratori coordinati e continuativi introdotti nel 1995 con la riforma Dini e istituzionalizzati due anni dopo dal «pacchetto Treu», il passo è breve: «Di quei con tratti ne avrò collezionati almeno una decina!».

Poi una luce in fondo al tunnel: nel 2007 la Finanziaria Prodi intro duce una graduale stabilizzazione dei precari. C’è la possibilità di ap prodare al mitico posto fisso, al con tratto a tempo indeterminato, a una casa propria e forse, chissà, a una fa miglia. Maria Grazia si mette in fila per la regolarizzazione ed è a un pas so dall’ottenerla, quando cambia il governo e la sanatoria viene blocca ta. «Io non ce l’ho fatta, ma 3 o 4 col leghi, sì. Erano in 4 mila a sperarci, ce l’avranno fatta, sì e no, un miglia io ». La delusione è fortissima: «L’unica consolazione è che sono stata inquadrata come articolo 23, contratto a termine, questo signifi ca almeno non avere più uno stipen dio da fame...». Cioè? «Guadagno 1.700 euro al mese netti. Sono fortu nata. Gli altri faticando come me tut to il giorno, senza riconoscimento di straordinari, in media ne prendo no 500 in meno».

Adesso però si schiude un’altra possibilità: «Il Cnr dopo 10 anni ria pre i bandi per le assunzioni: spero di farcela anche se i posti sono po chissimi e ci sono anche i giova ni... ». In che senso? «Nel concorso l’anzianità vale, ma fino a un certo punto. Così può accadere che i più giovani ti passino avanti. È come se si saltasse una generazione: quella dei quarantenni come me. Lo trovo ingiusto. Va bene il merito, ma an che l’esperienza è importante».

E cosa succederà se non supererà il concorso? «Ah, non lo so. Il mio contratto è rinnovabile per 5 anni e io sono al terzo. Tra due anni, o an che prima, potrei tornare a fare la co.co.co.». Ma se potesse ricomincia re oggi, rifarebbe tutto Maria Grazia: «Andando a lavorare all’estero però. In Italia la preparazione è ottima, ma dopo mancano i fondi. Si lavora in pochi ma non puoi giocare una parti ta in tre quando le altre squadre so no da 11 come accade in altri Paesi. Di sicuro non puoi vincerla».

Difficile parlare di prospettive di vita in queste condizioni. A dispetto del suo cognome, Di Certo, Maria Grazia ha pochi punti fermi: «Io non guardo al futuro: come potrei? Non ho un posto fisso e in banca il mutuo per la casa non me lo fanno. Sto in affitto». Ha una famiglia? Sor ride: «Mediamente non ci si fa la fa miglia con questo lavoro... statistica mente è difficile farsela. Praticamen te mi dedico al lavoro e continua a piacermi moltissimo».

Con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha fatto l’elo gio del posto fisso, Maria Grazia si trova d’accordo: «Non si discute: la mobilità è negativa se non porta al la costruzione di qualcosa di stabile. E questo vale poi per l’intera socie tà ». In che senso? «Penso che il mi nistro abbia visto che tanta gente non riesce ad arrivare a fine mese. Gente così non può permettersi di spendere un euro in più perché non ha prospettive, non ha neppure la tredicesima a Natale. Tremonti avrà pensato che l’economia non riparte senza garanzie per il futuro. È lapa lissiano ».

Ma? C’è un «ma»? «Be’, aspetto di capire in che cosa si tradurrà questo pensiero: insomma si torna alla sta bilizzazione dei precari? Io spero di sì. Mi auguro di poter continuare questo lavoro senza sentirmi border line a 41 anni. Io non credo che in Italia si possano fare miracoli. Ma si può migliorare, un passo dopo l’al tro. La pazienza di aspettare ce l’ho».

Antonella Baccaro
21 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA

SEMPRE PIU' GIU'

L'ANNUALE RAPPORTO DI "REPORTERS SANS FRONTIÈRES"
Libertà di stampa, peggiora l'Italia
Dalla 44esima alla 49esima posizione. Male anche in Francia.
Migliorano gli Usa: con Obama da 40 a 20


Peggiora la libertà di stampa in Italia: è questa una delle conclusioni dell'annuale rapporto pubblicato da "Reporters sans frontières". Secondo la nuova classifica dell'organizzazione internazionale, gli altri dati più rilevanti sono l’aumento della libertà di stampa negli Stati Uniti dopo l’insediamento di Obama (gli Usa risalgono dal 40° posto al 20°) e il peggiorare della situazione in paesi come Iran (73°) e Israele (93° sul territorio nazionale ma solo 150° fuori dai confini).

CLICCA QUI PER LA MAPPA - Anche per l'Italia, come detto, un responso negativo, col nostro paese che perde 5 posizioni, dalla già non confortante 44esima posizione del 2008 fino alla 49esima (e nel 2007 era 35esima). Cinque i Paesi che guidano la classifica dei più "liberi": Danemark, Finlandia, Irlanda, Norvegia e Svezia. Ultimo classificato (su 175 parsi monitorati) è l'Eritrea.

PREOCCUPAZIONE - Presentando il rapporto, il presidente di Rsf, Jean-François Julliard, non ha celato la sua preoccupazione per quanto riguarda la situazione europea, dove diversi paesi, come Francia (43esima), Italia (49esima), Slovacchia (46esima), mostrano un progressivo restringersi degli spazi per la libertà di stampa. «Inquietante constatare come, anno dopo anno, importanti democrazie europee come Francia, Italia, Slovacchia perdano progressivamente posizioni. L’Europa dovrebbe essere d’esempio sul fronte delle libertà pubbliche. Come possiamo denunciare le varie violazioni nel mondo se non siamo irreprensibili noi stessi in prima persona?». Resta inoltre sempre preoccupante la situazione per i giornalisti in Iraq e Afghanistan, dove i segnali di miglioramento continuano a essere decisamente troppo deboli e scarsi.

20 ottobre 2009

martedì 20 ottobre 2009

AUTOBUS ECOCOMPATIBILI

SONO MOSSI DA BATTERIE CON POCA AUTONOMIA MA A RAPIDO «RIFORNIMENTO»

I bus che si ricaricano alla fermata

A Shangai il trasporto si basa su veicoli «ultracapacitor», economici e a basso impatto ambientale

MILANO - Le pensiline si trasformano in stazioni di rifornimento elettrico per bus che si muovono in città grazie a batterie in grado di ricaricarsi in pochi istanti. Non è fantascienza, ma ciò che avviene da qualche mese su una linea di trasporto di Shanghai, i cui veicoli sono alimentati grazie a dei supercondensatori al carbone attivo, detti ultracapacitor. Una tecnologia pronta all’uso, in grado di migliorare la qualità dell’aria: per dimostrarlo ulteriormente un minibus alimentato allo stesso modo accompagnerà gli studenti dell’Università di Washington in giro per il campus. Ma presto questi veicoli potrebbero muoversi per le strade di New York, Chicago e in alcune città della Florida.

DIMENSIONI - In realtà gli ultracapacitor esistono da una quarantina d’anni, ma le loro dimensioni erano troppo grandi per consentire una loro applicazione nel settore dei trasporti. Un inconveniente risolto grazie al lavoro del Mit di Boston, che li ha perfezionati, riducendone le dimensioni, aumentandone l’efficienza e rendendone possibile la produzione a livello industriale. Gli ultracapacitor non sono in grado di accumulare molta energia ( hanno una densità energetica di 6 wattora per chilo, contro i 200 wattora di una batteria agli ioni di litio) e si scaricano abbastanza rapidamente. Per il momento, quindi, non sono quindi adatti ad alimentare le auto private (nonostante siano già stati costruiti dei prototipi), perché dovrebbero far rifornimento circa ogni 3 chilometri.

RISPARMI - Tuttavia, alcune industrie automobilistiche, come Foton America, casa produttrice degli autobus che si spostano lungo le strade di Shanghai, hanno pensato di applicare la stessa tecnologia al trasporto pubblico. Gli autobus urbani infatti sono costretti a sostare anche un paio di minuti alle fermate, a volte abbastanza ravvicinate tra loro, per permettere ai passeggeri di scendere e salire a bordo. È sufficiente, quindi, sostituire alcune pensiline con delle stazioni di ricarica, che consentono di fare rifornimento in pochi istanti. C’è di più: questi autobus sono in grado di assorbire l’energia prodotta da ogni frenata e le pensiline ricaricanti possono essere equipaggiate con pannelli fotovoltaici, riducendo ulteriormente le emissioni. Dal punto dei vista dei costi, per far muovere un autobus simile occorre un decimo dell’energia necessaria per far circolare un normale bus a diesel, con un risparmio di 200mila dollari di carburante, calcolato per il ciclo di vita di ogni veicolo.

I LIMITI - Restano alcuni limiti: l’accelerazione rimane debole e i bus riducono la loro autonomia del 35% quando si accende l’aria condizionata. Ma al Mit stanno lavorando per aumentare la densità energetica degli ultracapacitor, che in un futuro non lontano potrebbero quintuplicare la loro capacità di immagazzinare energia e consentire un uso ancora più esteso nel settore dei trasporti, abbattendo il numero delle stazioni di servizio.

Del resto il tempo stringe: secondo quanto stabilito dal G20 entro il 2050 ciascun abitante del pianeta dovrà limitare a 2 tonnellate l’anno le proprie emissioni di Co2 (contro le 15 tonnellate annue prodotte oggi da un cittadino Usa). per dimostrare che non è poi così poco Andy Pag, un ambientalista, sta provando a fare il giro del mondo a bordo di un bus alimentato a biodiesel, ricavato dall’olio di cucina, cercando mantenersi sotto la soglia fissata dal G20. Partito da Londra, Pag ha già percorso 3mila miglia, facendo tappa in Francia, Svizzera, Italia e Turchia e raccontando il suo viaggio in un blog. Obiettivo: sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del riscaldamento globale. Una sfida a cui tutti siamo chiamati a rispondere, non importa se con l’olio fritto o con gli ultracapacitor.

Elvira Pollina
20 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA