giovedì 28 gennaio 2010

BRESCIA SI LIBERA DEGLI IMMIGRATI REGOLARI



Con 500 euro Brescia si libera degli immigrati (regolari)
CHI VUOLE PUÒ RESTITUIRE IL PERMESSO DI SOGGIORNO E IL COMUNE PAGA LE SPESE PER IL RIMPATRIO

di Elisabetta Reguitti

Come liberarsi dagli stranieri? Come fare in modo che la cosa non sembri una “cacciata” ma venga confezionata nel migliore dei modi? Questione di saper cogliere la palla al balzo, non la sciandosi scappare l’occasione di un progetto che, ufficialmente, ha una valenza sociale. Accade infatti che l’amministrazione comunale di Brescia abbia annunciato che aderirà al progetto europeo Nirva (Network italiano per il rimpatrio volontario assistito) promosso da Acli, Caritas, Cir, Aicre (Associazione italiana per il consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa) e Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) co-finanziato dall’Unione Europea e dal ministero dell’Interno. Il progetto si occupa solamente di rifugiati, richiedenti asilo, possessori di permesso per motivi umanitari, vittime della tratta o stranieri con permessi temporanei. Ma Brescia ha annunciato che verrà esteso ad altre categorie. E dunque: 496 euro in aggiunta ad un biglietto di sola andata per gli stranieri regolari che decidano di riconsegnare il permesso di soggiorno e di allontanarsi dall’Italia per almeno cinque anni. In caso di rientro anticipato verrà chiesta la restituzione della cifra complessiva.

“Con questa delibera a Brescia rimarrà invariato il numero degli immigrati irregolari e diminuirà quello degli stranieri con regolare permesso di soggiorno” afferma il consigliere comunale del Pd Beppe Ungari. A non convincere è il fatto che il progetto promosso dal Nirva sia finalizzato alla reintegrazione degli immigrati nei propri Stati di provenienza. Possibilità garantita da un percorso che prevede anche l’avvio di un’attività economica. Aspetto, questo, del tutto estraneo nel caso di Brescia, secondo Franco Valenti. Che oggi è presidente della Fondazione Guido Piccini, consulente per l’immigrazione della Cgil di Brescia ma soprattutto, responsabile dal 1989 al 2008 del servizio integrazione cittadinanza del Comune di Brescia: una struttura istituzionale alla quale facevano riferimento la Questura e l’Asl, ma smantellata all’indomani dell’insediamento dalla giunta guidata dal sindaco onorevole Adriano Paroli e dal vice Fabio Rolfi esponente della Lega.

“Fermo restando che ci possano essere casi di immigrati che avendo perso il lavoro si sono rivolti a realtà come la Caritas per avere un aiuto economico o per tornare nella loro terra d’origine, credo che questa decisione del Comune vada, piuttosto, nella direzione di liberarsi delle persone. I progetti di rimpatrio volontario assistito sono iniziati già negli anni ’90 – prosegue Valenti – e prevedono percorsi articolati da realizzare. Non si tratta certo di bonus per incentivare il rientro di categorie deboli”. Il rischio, tra l’altro, per Valenti è proprio quello di avviare paradossalmente un circolo di assistenzialismo finalizzato solo al ritorno a casa.

“Ritengo questa iniziativa ambigua rispetto alle vere finalità”.

E sul fatto che l’amministrazione comunale abbia dichiarato di aver speso oltre due milioni e duecentomila euro per contributi a stranieri in difficoltà, Valenti affonda: “Oltre due milioni di euro? Per rispondere a quali bisogni sociali? In tempo di ristrettezze economiche, un’istituzione ha comunque il dovere di utilizzare con saggezza i soldi pubblici. Ho ragione di credere, al contrario, che l’attuale sistema di governance dell’immigrazione a Brescia faccia acqua da tutte le parti. E finanziare con esiti incerti il rimpatrio di immigrati bresciani ne è un esempio”.


fonte: http://www.antefatto.it/regalo2010

sabato 23 gennaio 2010

EVVIVA LA LIBERTA' DI STAMPA, PAROLA E PENSIERO


DOPO L'ATTACCO SULLA PRESUNTA EUTANASIA NELLA STORIA MATER MORBI

Polemica Dylan Dog, la Roccella replica
«Male interpretata. Non ho letto la storia»

Il sottosegretario alla Salute risponde allo sceneggiatore Recchioni: «Anche io dico no al rifiuto della malattia»


Disegno di Roberto Recchioni
Disegno di Roberto Recchioni
MILANO - «Forse ha letto le prime quattro pagine, il mio è un fumetto sulla necessità di accettare la malattia, non certo un inno al superuomo». Roberto Recchioni è perplesso per la polemica suscitata dalsottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, che venerdì sul Corriere della Sera ha criticato i contenuti del numero 280 di Dylan Dog, Mater Morbi, in edicola questo mese: a disegnarlo Massimo Carnevale, a scriverlo proprio Recchioni.

EUTANASIA - «Ambiguo difendere l'eutanasia come atto di pietà», ha detto il sottosegretario, «gli intellettuali dovrebbero chiedersi: perché inseguiamo il mito del corpo sano e della perfezione e rifiutiamo la malattia e la sofferenza?». Recchioni non ci sta: «Quella della Roccella (che fu portavoce del Family Day del 12 maggio 2007, ndr) è una critica perniciosa: si è soffermata sulla prima reazione di Dylan Dog, che è in ospedale malato di un male oscuro che lo trascina fino al confine con la morte». Ma la trama, argomenta Recchioni, dice molto di più: «C'è un personaggio che citando Wittgenstein dice che la cosa peggiore da fare con le malattie è ribellarsi. Se non accetti la malattia, se ti ostini a rifiutare questa cosa che è parte di te, allora sì che non puoi più vivere. L'accettazione della sofferenza è un cardine della storia».

LA REPLICA - «Sono felice che lo sceneggiatore Roberto Recchioni smentisca i miei timori rispetto al messaggio dell’ultimo numero di Dylan Dog, "Mater Morbi" - replica la Roccella - perché la mia paura è proprio che cresca nella cultura un rifiuto del corpo imperfetto e della persona malata. È sul dibattito giornalistico nato intorno al racconto che sono stata interpellata dal Corriere, e in particolare sulle interpretazioni fornite dall'Unità e dal Secolo. Se quegli articoli fornivano interpretazioni sbagliate o ideologiche, tutto il dibattito ne ha ovviamente risentito. E sono contenta di scoprire che erano "superficiali". Come avevo chiarito a chi mi ha interpellato, non avevo ancora letto la storia: la leggerò adesso e ne scriverò. Mi farà molto piacere se Recchioni si vorrà poi confrontare con me direttamente».

L'eutanasia di Dylan Dog

L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog

PRESA DI COSCIENZA - Il Fatto Quotidiano, L'Unità, Il Secolo d'Italia e venerdì Liberazionehanno indugiato in questi giorni sul canovaccio di Mater Morbi: malattia, terapie intensive, sofferenza, dilemmi etici della medicina. Del resto Recchioni, romano classe '74, ha scritto la sceneggiatura rifacendosi alla sua esperienza di malato che dalla nascita è costretto a un continuo andirivieni negli ospedali. Un percorso che lo ha condotto a una serena presa di coscienza: lui, che oltre a sceneggiare è anche disegnatore, si è ritratto in una vignetta in un letto di ospedale, mentre si domanda «Perché a me?», e una voce fuori campo gli risponde: «E perché non a te?». «Però non mi interessa 'vendere' la mia malattia», si schermisce il cartoonist, «ciò che conta è dire che il fumetto parla continuamente di cose serie, eppure non c'è attenzione per questo mezzo di comunicazione».

TEMATICHE SOCIALI - Recchioni si batte da tempo per la valorizzazione del fumetto sul suo blog, Dalla parte di Asso Merrill, che è fra i più letti in assoluto in Italia (Wikio lo colloca al 281° posto). «In Italia il fumetto sta chiuso in un ghetto che non comunica col resto dei media», prosegue Recchioni. «Ogni volta che c'è polemica pare la prima volta che il fumetto è diventato 'serio'. Certo, stavolta abbiamo toccato un nervo scoperto, ma Dylan Dog da sempre si confronta con le tematiche sociali». E Mater Morbi è un concentrato delle riflessioni di Recchioni. A pagina 97 Dylan scrive nel suo diario: «Cosa succede quando il male è una parte di noi? Ignorarlo o rifiutarlo è inutile o dannoso». Ma poche pagine prima Recchioni fa dire a Dylan: «Sono convinto che chiunque sia in possesso delle sue facoltà mentali debba essere anche padrone del proprio destino.. specie se quel destino è fatto di atroci sofferenze», pensa l'eroe in giacca e camicia, ma poi manifesta la sua perplessità a staccare la spina se non si ha chiara la volontà del malato: «Chi sono io per mettere in dubbio i miracoli?».

Alessandro Trevisani
23 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 22 gennaio 2010

IL MONDO LI BUTTA GIU', E NOI...




«LA PROPRIETÀ IN UN ANNO NON È RIUSCITA A FARLO, E QUESTO È A DIR POCO SCANDALOSO»

Maullu costruisce muro anti immigrati
a Porta Romana: «C'è pericolo»

L'assessore regionale Pdl: «gesto simbolico» per mettere in sicurezza l'accesso all'ex scalo ferroviario

Stefano Maullu costruisce il muro in piazzale Lodi (Salmoirago)MILANO - Un muro, di una ventina di mattoni, davanti all'ex scalo ferroviario di Porta Romana in piazzale Lodi. Lo ha eretto venerdì mattina Stefano Maullu, assessore regionale alla Protezione civile, Prevenzione e Polizia locale e responsabile delle politiche elettorali del Pdl per la Lombardia. Maullu parla di un gesto «simbolico» per protestare contro l'assenza di Ferrovie dello Stato nella messa in sicurezza dell'area. «Ho scelto di intervenire in modo così deciso - osserva Maullu in una nota - per tutelare gli interessi dei cittadini, da lungo tempo costretti a convivere con una situazione di potenziale pericolo e di grande imbarazzo per l'intera città». La scelta «di murare parzialmente l'accesso all'ex scalo ferroviario - prosegue l'esponente del Pdl - vuole dimostrare che se si vuole mettere in sicurezza l'area è sufficiente un po' di buona volontà, della calce, qualche mattone e un paio d'ore di lavoro. La proprietà in un anno non è riuscita a farlo: e questo è a dir poco scandaloso». Se qualora la proprietà continuerà «a non adempiere ai propri obblighi - chiosa Maullu - spetterà alla civica amministrazione provvedere alla messa in sicurezza di queste aree, alla chiusura di eventuali varchi e all'abbattimento degli edifici in condizioni non idonee, addebitando poi i costi alle stesse Ferrovie dello Stato». (fonte: Ansa)

22 gennaio 2010

giovedì 21 gennaio 2010

M'ILLUMINO DI MENO

LA NOYEE



Verona: baby gang scoperta,
i ragazzi hanno agito per noia
21 gennaio 2010 13:34

CRONACHE

VERONA - Baby Gang in azione a Verona, quattro ragazzini sono stati denunciati per aver rapinato una ragazza dello Sri Lanka, aveva 6000 euro in contanti da spedire a casa per curare il fratellino. I 4 ragazzi, tra i 14 e i 16 anni, secondo le forze dell'ordine avrebbero agito per noia, in cerca di brivido. Alle spalle famiglie di imprenditori dell'agroalimentare, facoltose, che conosciuti i fatti, mentre i carabinieri recuperavano il bottino, hanno provveduto ad integrare il denaro mancante gia' speso dai figli. (RCD)

fonte:

Serge Gainsbourg, La Noyée: http://www.youtube.com/watch?v=4oMrPdOQYr0

domenica 17 gennaio 2010

CHE VERGOGNA

UN RAMO DELL'INCHIESTA SULLE PENSIONI DI INVALIDITÀ
Napoli, la truffa dei «falsi pazzi»:
400 malati di mente nella stessa zona

Le indagini dei carabinieri dopo la scoperta dei falsi ciechi che guidavano e leggevano il giornale


MILANO - Oltre ai «falsi ciechi» smascherati a dicembre potrebbero esserci, a Napoli, nel quartiere del «Pallonetto di Santa Lucia», anche numerosi «falsi pazzi», finti malati di mente titolari di assegni di invalidità. È questo il sospetto degli investigatori che, nei giorni scorsi, hanno acquisito negli uffici alcuni atti. Si tratterebbe, come riferiscono alcuni giornali, di un nuovo filone dell'inchiesta sui falsi ciechi che nel dicembre scorso ha portato agli arresti domiciliari 53 persone, per la maggior parte legate da vincoli di parentela, che hanno percepito per mesi assegni di invalidità. Le immagini delle telecamere usate dai carabinieri per documentare la truffa mostrano i presunti ciechi che guidano auto e moto, e uno che addirittura legge il giornale mentre attende il suo turno in un ufficio postale per ritirare la pensione d'invalidità. Per rendere ogni cosa più credibile, alcuni avevano provveduto a modificare con alcuni programmi di fotoritocco le pupille dei loro occhi nelle foto che venivano poi allegate alle pratiche.

TUTTI NELLA STESSA ZONA - Ora l'attenzione è stata puntata sugli assegni di invalidità concessi a presunti malati di mente: sarebbero oltre 400, tutti nella stessa zona del centro storico. Troppi, rispetto alla media degli altri quartieri cittadini: e così sono scattate le verifiche. Nel corso delle indagini sui falsi invalidi, coordinate dalla procura della Repubblica e partite a settembre, i militari dell’Arma hanno scoperto l’esistenza di un’organizzazione criminale attiva da circa tre anni. La banda, attraverso la falsificazione di documentazione medica e amministrativa, era riuscita a far erogare false pensioni di invalidità a numerosissime persone che, in realtà, non avevano alcun tipo di problema, causando ingentissimi danni alle casse pubbliche. Per gli investigatori, il regista della truffa sarebbe un consigliere della I Municipalità di Napoli, Salvatore Alaio, che è stato fermato a dicembre. Il politico però continua a dirsi innocente. Il padre di Alaio ha denunciato di essere stato vittima, nei giorni scorsi, di un sequestro-lampo. Un aspetto che è oggetto di approfondimento da parte degli investigatori.

Redazione online
17 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA

sabato 16 gennaio 2010

BALLANDO SUL MORTO

IN PROVINCIA DI ROVIGO. GLI AMICI: MANCANZA DI RISPETTO
Si sente male in discoteca e muore
Ma gli altri continuano a ballare

La 29enne aveva una malformazione congenita.
Il titolare: «Spegnere la musica sarebbe stato peggio»

MILANO - Si è sentita male al bar della discoteca e si è accasciata a terra, a pochi passi dalla ressa dei ballerini. La musica non si è fermata e attorno a lei tutti hanno continuato a ballare, mentre su un divanetto si consumava la sua agonia. E' morta così, a 29 anni, E.M., una ragazza originaria di Lendinara, in provincia di Rovigo. E ora è polemica sul comportamento del gestore, che non ha fermato il divertimento dei giovani.

MALFORMAZIONE CONGENITA - E' accaduto nelle prime ore dell'alba di sabato in una discoteca di Arquà Polesine (RO). La giovane soffriva di una malformazione congenita al cuore che la costringeva a continui controlli medici e cure. La giovane è stata colta da malore mentre stava parlando con alcuni amici vicino al bar. Improvvisamente una smorfia di dolore è comparsa sul suo viso e la ragazza si è accasciata al suolo. Soccorsa, è stata fatta stendere su un divanetto in attesa dell'arrivo dell'ambulanza, che è arrivata circa mezz'ora dopo. Poi è stata trasportata d'urgenza all'ospedale, dove però i medici non hanno potuto che constarne la morte.

IL TITOLARE: «VOLEVO EVITARE LA CALCA» - Dal momento in cui la ragazza si è sentita male all'arrivo dei soccorsi sono passati una trentina di minuti, ma nel frattempo all'interno della discoteca la musica ha continuato a ribombare e pare che nessuno si sia accorto di nulla. Un particolare, quello della musica, che ha suscitato forti perplessità da parte degli amici della giovane. Il titolare del locale, Gaudenzio Ferrari, si è giustificato rilevando che sarebbe stato forse più pericoloso accentrare l'attenzione di tutti i presenti su quanto stava avvenendo e che in un primo tempo pareva un semplice svenimento. «La ragazza - ha detto - sembrava svenuta e se avessi dato ordine di spegnere la musica si sarebbe creata calca attorno alla giovane, e forse sarebbe stato peggio».

Redazione online
16 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA

fonte:

lunedì 4 gennaio 2010

MALASANITA'

«Il mio bimbo morto per un’ingessatura Fermate la mattanza»

«Al Sud tragedie per interventi banali»

Dopo il caso di Francesca, la bimba di 2 anni e mezzo a cui è stato ingessato il braccio sano (e la cui vicenda è stata raccontata sul giornale di sabato), al «Corriere» è arrivata la lettera di Fatima Bonanno, mamma di Andrea. Un altro caso di malasanità, ma dall’esito più drammatico: nello stesso ospedale (l’Annunziata di Cosenza) e nello stesso reparto (Ortopedia e traumatologia) in cui è stata ricoverata Francesca, il piccolo Andrea ha perso la vita, nell’ottobre 2005, per le complicazioni causate da un’ingessatura troppo stretta. Una morte che ha portato alla condanna, in primo grado, di tre medici della clinica calabrese.

Caro Direttore,
sono Fatima, la mamma di Andrea Bonanno, il bambino di 7 anni che nell’ottobre del 2005 ha perso la vita nell’Ospedale civile Annunziata di Cosenza per un’ingessatura troppo stretta applicatagli al braccio.
Scrivo questa lettera perché l’ultimo dell’anno, in Calabria, si è verificato l’ennesimo caso di malasanità. Nello stesso ospedale, stesso reparto di Ortopedia e traumatologia, in cui ha perso la vita mia figlio, a una bambina di due anni e mezzo è stato ingessato il braccio sano anziché quello fratturato, e ai lamenti della bambina la risposta dei sanitari era che faceva dei capricci, esattamente come si diceva per Andrea. Fortunatamente la bimba non ha subito danni, purtroppo per Andrea non è stato così. Il 26 settembre scorso, il Tribunale penale di Cosenza in composizione monocratica, nella persona del dottor Gianfranco Grillone, ha condannato tre medici. Due per omicidio colposo tra cui il primario del reparto, e uno per falso, per aver alterato la cartella clinica di Andrea. Come si vede, qui non ci facciamo mancare proprio niente!

Andrea Bonanno, morto nel 2005 a 7 anni
Andrea Bonanno, morto nel 2005 a 7 anni
La nostra è stata una lunga battaglia legale, che ci ha portato a scontrarci con il sistema; in questo processo c’è stato di tutto: dalle perizie false, dalle quali il Gup ha preso le distanze sconfessando i suoi stessi periti e rinviando a giudizio gli ortopedici, ai numerosissimi incontri con i rappresentanti delle istituzioni, tra i quali risalta, nel giugno 2008, l’incontro con il ministro di Grazia e giustizia Angelino Alfano. Tantissimi gli sforzi compiuti da me e mio marito per assicurare una degna difesa ad Andrea, almeno da morto, visto che non siamo stati in grado di proteggerlo da vivo. In dibattimento, abbiamo affidato il caso all’avvocato professor Carlo Taormina e all’avvocato Enzo Belvedere del Foro di Cosenza; le consulenze sono state assegnate al professor Alessandro dell’Erba della prima Università di Bari, e al professor Lamberto Perugia, massima espressione dell’ortopedia italiana.

In corso di causa, al giudice lo stesso Perugia ha riferito tante cose, ma una mi ha sconvolto e frustrato particolarmente: che per salvare la vita di Andrea sarebbe bastato che quegli ortopedici avessero seguito le regole basilari, quelle che a suo dire si insegnano ai tirocinanti. Per adesso la giustizia ha trionfato in un’aula di tribunale, ma è difficile che questo risultato risani ciò che si è spezzato irrimediabilmente nelle nostre vite. Il giudice, nella sua sentenza, con motivazioni contestuali denuncia il sistema; questi sono alcuni passaggi della motivazione: «Si è detto che Andrea Bonanno è stato vittima della trascuratezza, quando invece in quei pochi giorni di ricovero è stato visitato, curato, seguito da decine tra medici ed infermieri delle più diverse branche, fatto oggetto delle più svariate consulenze, sottoposto a una serie innumerevoli di trattamenti ed accertamenti; eppure la struttura che avrebbe dovuto garantirgli la guarigione da una banale frattura lo ha ucciso. Il piccolo Andrea è stato prima di tutto vittima di un sistema che concepisce il malato come una sorta di fantoccio inanimato, un contenitore di organi e di ossa trasportato da un reparto all’altro perché, nelle migliori delle eventualità, questi e quelle vegano "prese in carico" dagli specialisti di settore, o perché nella peggiore, chi si sia trovato a "gestire" il "paziente critico" sia messo un domani in condizione di poter dire (e, soprattutto, poter documentare) che nessun sintomo è stato trascurato, nessun esame è stato omesso, nessuna consulenza non è stata invocata; poi c’è un bambino che si lamenta per un gesso troppo stretto, ne porta i sintomi che anche un profano sarebbe in grado di decifrare... ma "il sistema" ha ormai reso tutti ciechi e sordi».

Forse è troppo scomodo tutto questo, qualcuno penserà che è troppo duro, ma io che ho assistito alla sofferenza e alla morte di mio figlio penso che è stato quasi divino. È come se il giudice avesse visto attraverso i miei occhi e quelli di mio figlio tutto l’accaduto. Tra non molto ci sarà il giudizio di appello, lotteremo con tutte le forze affinché siano confermate le condanne, così come continueremo a lottare per l’applicazione delle sanzioni disciplinari ai medici condannati che, a tutt’oggi, continuano a svolgere la propria attività come se non fosse successo nulla. Anche la Commissione parlamentare sugli errori sanitari, a riguardo, ha chiesto espressamente al Presidente Loiero che ciò venga fatto al più presto, ma ancora non è stato possibile raggiungere questo traguardo, che per me è il più importante, perché solo quando tutto questo accadrà, Andrea forse avrà giustizia.

Qui la gente perde la vita, non perché viene sottoposta a degli interventi di alta chirurgia, dove i rischi sono messi in conto, bensì per appendicite, per ascesso tonsillare o peggio ancora per un semplice gesso. È forse chiedere troppo, desiderare che qualcuno faccia qualcosa per fermare questa mattanza? Ma non con parole o false promesse, con fatti concreti. E per chi pensa che questi casi non meritino la stessa valenza dei casi di cronaca, quella fatta da persone senza una morale, senza scrupoli, vi assicuro, data la mia esperienza personale, che non c’è alcuna differenza. Anzi, ci si sente doppiamente traditi, perché ho affidato mio figlio a dei medici, credendo che fosse in buone mani, ma così non è stato. E una volta che mio figlio è morto, in quell’esatto momento ha smesso di essere qualcuno ed è diventato solo qualcosa per cui liberarsi al più presto da ogni responsabilità.

C’è chi ha falsificato la cartella clinica, c’è la cosiddetta Commissione interna che con assoluta mancanza di rispetto verso la morte di un bambino, e dei suoi genitori, senza aspettare neanche l’esito dell’autopsia, era già pronta a sostenere ipotesi assolutorie, «nessun colpevole». Ho sbagliato a pensare che i medici per la semplice scelta della nobile professione abbiano per forza anche l’animo nobile e dei principi morali. A mie spese, però, ho scoperto che non è così, loro si difendono anche quando sono così evidenti le proprie colpe. Affido questa lettera, semplice contenitore di un dolore in realtà incontenibile, a tutti i lettori, sperando, o forse sognando, che qualcosa o qualcuno possa porre fine a tante ingiustizie.

Mamma di Andrea
04 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA